STORIE PARTICOLARI di Alba
Gente di “Panca”
Ho un’ora libera tutta per me; che faccio? Mi metto a passeggiare senza meta e mi ritrovo in uno giardino vicino alla scuola dove insegno. E’ frequentato da variopinti personaggi che aspettano, sulle panchine che circondano lo slargo, di accedere alla “Mensa del sorriso”. -Buon giorno Signora. Benvenuta nel giardino dei Finzi Contini! Come ben lei sa questo è un luogo riservato ad una ristretta élite; cosa la porta presso di noi?- Rimango interdetta dall’ approccio raffinato e mi chiedo da dove spunti questo uomo che sa usare riferimenti cosi azzeccati e particolari. Incuriosita mi fermo a parlare con lui. Chi sei,Chi eri,Chi sarai? -Sono un homeless, come dite voi per mascherare il senso dispregiativo del termine “barbone”. Dite homeless perché è più in, è più chic che dire con rispetto - è un Barba- Vivo sulla strada, dormo sotto le stelle, faccio la romantica vita di chi ha scelto la libertà, quella con la elle minuscola perché mica è sempre vero che la strada è una scelta! Quando in estate mi metto a dormire sull’erba o su una panca penso che è sempre meglio del dormitorio o del Gabbio. Mi consola l’essere libero di guardare le stelle. Alzo gli occhi al cielo ma nella notte lattiginosa io le stelle non le vedo più! A Milano hanno rubato le stelle. Mille luci non mi sostituiscono il buio cosparso di punti lontani che lo manterrebbero comunque assoluto. Nel buio potrei lasciarmi sprofondare, finire in un buco nero…E’ sempre meglio che essere considerato un rifiuto. Chi Ero? Un uomo qualunque, diploma perito tecnico, un lavoro come capo reparto alla Nontidicodove, mansioni di responsabilità, capacità organizzative sopra la norma, eccellente esecuzione dei compiti, carattere antipatico, poco socievole e onestà inattaccabile. Licenziato dopo un lavoro troppo ben eseguito! Ero un cinquantenne, ero senza lavoro e con una fama di troppo onesto rompiscatole:ero fregato! Chi sarò? Sarò sempre peggio, mi scorderò di lavarmi appena posso, berrò sempre di più, andrò sul sagrato delle chiese sperando di impietosire qualcuno, perché un lavoro a me chi potrà darlo? Niente spaccio, niente truffe, niente furti: nessun guadagno. Di storie come la mia ce ne sono tante. Non tutte di gente per bene certo, ma comunque, quando ci sei dentro, per scelta o per disgrazia fai parte della stessa tribù. L’unico impulso è quello di sopravvivere.
Considerazioni sull’orlo
Sono in difficoltà; devo risalire la corrente. Non devo lasciarlo capire, devo essere ben sicuro di me. Sempre si deve essere ben sicuri di sé e non avere bisogno di niente. Avanzare col vento in poppa, allora ogni genere di lavoro ti cade in grembo, come una mela matura; Basta che tu abbia disperatamente bisogno di trovare un impiego e lo lasci vedere, subito le porte si chiudono. Davanti alla mia espressione angosciata la fuga è assicurata. Se diventi affamato di aiuto e comprensione, difficile sfamarti. Tu ti senti patetico e nello stesso tempo umiliato dall’indifferenza, perché chi chiede aiuto è quasi sempre solo. Pochi sentono il dovere di mettersi in gioco per uno “sfigato”. Magari provano un po’ di compassione ma non hanno voglia di stargli troppo vicino. Qualcuno potrebbe riconoscerli e pensare che soffrono anche loro di “sfiga”. La tristezza è appiccicosa, meglio non correre questo rischio. Anche gli assistenti sociali lo guardano con sufficienza lo sfigato, non gli credono; è il solito lazzarone che non ha voglia di lavorare e che vuole vivere alle spalle della società. Ufficio Adulti in difficoltà”, così lo chiamano. Non ho capito se è così denominato perché: a) vuole veramente aiutare la gente in difficoltà b) quando un disperato bussa alla porta sono in difficoltà e non sanno neppure loro che pesci pigliare c) devono porre difficoltà così che nessuno si presenti per chiedere aiuti che non possono dare. Tutto dipende da chi ti riceve. Se ha il fuoco del salvatore o se ritiene il suo un impiego come un altro: comunque io diffido anche del salvatore! Scommetto che anche tu che stai leggendomi e che dimostri un superiore grado di interesse per gli sfigati, stai pensando che ho bevuto. Non ancora. Non ancora, ma ci sono vicino, sto per essere catturato dalla spirale. Niente lavoro (ripassi fra un mese, vedremo), affitto da pagare pena lo sfratto, moglie che non sopporta più ne me ne i creditori e chiede la separazione. Alimenti per moglie e figli che rischi di non vedere più, vai al dormitorio… Tu pensi che passerà molto tempo prima che, che mi faccia un goccio?
Il rimatore
Ovunque i suoi passi lo conducessero il suo pensiero tornava alla cascina e s’inventava rime e poesie. Sempre quando soffriva, cantava o parlava in rima, e pensare alla sua infanzia lo faceva soffrire. Nonostante tutto là aveva lasciato gli affetti da lui gratuitamente donati; s’era portato via solo le speranze il giorno che ai suoi aveva detto: “tornerò domani” col pensiero di non tornarci più, con l’idea di affrontare la vita e di mangiarsela in un sol boccone come il lupo delle fiabe che sua madre non gli raccontava. Là, in campagna, del lupo cattivo imprigionato perché ribelle, faceva la vita, catena al collo compresa . Ma Lui non era così cattivo, come il lupo voglio dire, anche se adesso la gente quando lo vede si ritrae come presa da paura, o forse ribrezzo, o forse peggio ancora da disprezzo. La gente. Che ne sapeva la gente di quanto ci aveva provato a tenersi un lavoro dopo che l’aveva perso per una bevuta di troppo, e quanto avrebbe pagato per togliersi la voglia di annegare nell’alcool. Il suo sogno era fare l’autista e c’era riuscito, per tanti anni, ma poi, incominciata la discesa non era più stato capace di risalire. Sempre più alcool, sempre meno lavoro, nessun affetto. Solo gli incontri con “amici” di strada che a volte ti aiutano ma molto di più chiedono, ti derubano perché non c’è rispetto neppure per chi è nella stessa disgrazia. Tolgono a te che sei “di mano lesto ma non disonesto” e cambi proprietà “sol per donare a un fesso quel che per un ricco è eccesso” Picchiano te che non vuoi picchiare, te che vuoi solo la pace del corpo ma soprattutto del cuore. Tu dici: “Le speranze si sono esaurite, tanto ormai è andata così, il resto è filosofia, la voglia di continuare la vita l’ha spinta via”; e basta un po’ di vino per farti poetare. Ti vogliamo bene rimatore
L’Uomo Per Bene
Era un uomo forte e schietto, era un uomo per bene. Aveva sopracciglia nerissime e capelli altrettanto scuri, era poderoso anche se non molto alto ed era fiero della sua famiglia: della bella moglie che in paese gli invidiavano, dei figli che sperava sarebbero arrivati, dei fratelli ai quali si sentiva sempre molto unito. Era fiero del suo lavoro di falegname specializzato nella costruzione di stand fieristici, in giro per l’Europa, anche se per questo era costretto a lasciare spesso la famiglia e il suo paese, ma era fiducioso. E avvenne un giorno la tragedia: moglie e fratello, una tresca intollerabile per la mente dell’Uomo Per Bene che divenne da prima un forsennato senza più capacità di controllo, ché “avrebbe ucciso tutti, non per gelosia della moglie, ma per tradimento… grande…dalla sua famiglia!” e poi un bambino disperato e desolato, senza capacità di perdono. Non sapendo perdonare il tarlo gli consumò l’anima e gli rimase pure nel cervello. Come ritornare a vivere? Quando l’abbiamo incontrato aveva una strana luce negli occhi che lo faceva apparire amabile ma in realtà era scostante, collerico e sospettoso. Anche l’alcool aveva fatto i suoi graffiti. Della sua strada non voleva raccontare e di nessuno voleva sapere. Neanche di dottori voleva sapere, né di ospedali che “ ti trattano come cavie”. In un bagno da solo, una sera, con un coltello si tolse una “cisti” dalla fronte e pur soffrendo atrocemente non lo disse a nessuno. Sparì dalla circolazione. Dopo varie ricerche lo trovammo a Niguarda. Silenzioso e impietrito quasi, con una luce strana negli occhi, ma diversa, pietosa nei nostri confronti come se volesse consolarci per la nostra incapacità, per non averlo saputo aiutare, per dirci: “ tranquilli, sono in pace”. Dopo due giorni era morto. Il fratello lo ha riportato a casa. Non ti dimenticheremo Uomo Per Bene
L’Uomo del Clan
Doveva essere stato bello perché lo chiamavano Valentino, ma della bellezza l’alcool aveva cancellato anche le tracce Quando arrivava, con amara irrisione, in coro noi esclamavamo “Ecco l’Uomo del Clan” Quando lo raccontava, nessuno ci credeva; forse perché le sue parole uscivano mischiate all’odore dell’alcool o forse perché la sua vita normale e ormai passata, sembrava incredibile proprio per come lui te la confidava: un romanzo. Aveva avuto il grande onore di essere l’autista del Clan, e quando a Milano si parla di Clan non è necessario specificare quale. Era molto interpellato, non solo per il trasporto di cantanti e strumenti ma proprio per la musica, e del suo parere si teneva conto. Quella si che era vita! fatta di viaggi e di feste, di donne, di alcool. Quando il clan si sciolse si comprò un taxi. Della città, delle sue vie, dei suoi sobborghi, tutto conosceva. Lavorava di giorno, lavorava di notte e di niente e nessuno aveva paura. Che bella vita dorata ancora faceva! Che stupido era! Di colpo l’oro divenne giallo e il giallo divenne nero. Gli avvenimenti tragici, i personaggi foschi, tristissime le storie. Figli drogati, disperati “che ti portano a fare cose che….non te le posso raccontare” e poi “Quei delinquenti che quando li trovo… ho una pistola pronta con la pallottola in canna, nascosta in un tombino dove so solo io, per come hanno ucciso me assieme a mio figlio”. E ogni volta dicendo questo mi guardava, gli occhi ottenebrati dall’alcool ma con la voce che trasmetteva una furia impotente. Non ti sei mai vendicato. Ci hai già lasciati e per noi è difficile non ricordarti. Ti penseremo sempre bello, Valentino.
L’Arcangelo
Quando arriva al Centro ne avverti la presenza a distanza per l’odore acre che emana; una commistione di fumo, di vino, di panni non lavati e di bagni evitati che ti fa dire: “E arrivato l’Arcangelo” -Da dove vieni ,Arcangelo?- -Dal Sud profondo dal quale sono fuggito- -Per dove andare? - -Germani, a lavorare e a sposarmi, a diventare padre, a essere abbandonato – -E adesso cosa vuoi fare?- -Sciogliermi nel vino, se Dio mi dà la salute!- Occhi azzurri, volto dai tratti regolari e forse un tempo piacevoli, dimostra più anni di quanti ne abbia veramente; non essendo alto, quando ha bevuto sembra macilento; ma sotto i panni sporchi, affiora una forza che gli viene non tanto dal corpo quanto da dentro la testa. Di lui subito percepisci il carattere litigioso, che sicuramente grande parte ha avuto nel suo degradarsi, e la perenne arrabbiatura con il mondo tutto Non è persona facile da seguire. Ha sempre richieste impellenti che subito diventano pretese: prima un sussidio, poi la pensione sociale, perché -ho lavorato per venti anni in Germani, ma niente…tutto perso… ci credi tu aah? e una casa “che da vecchi è dura la panchina- e sempre soldi , soldi, soldi “non per me che io mi accontento, per un disgraziato” E impreca, maledice, esige. Se anche tu alzi il tono della voce e lo zittisci, subito sembra sottomettersi, lanciandoti però di sottecchi messaggi rancorosi. Quando non è ottenebrato dall’ alcool gli si deve riconoscere la capacità di essere riconoscente e a suo modo generoso. Della sua vita però non racconta che l’essenziale, solo quel tanto per giustificare il suo stato attuale. Cosa nascondi nella tua borsa oltre alla bottiglia dalla quale mai ti separi, che amare storie ancora ci porterai, Arcangelo?
Il principe
Si chiama come un principe, ma Principe lui non è. Solo quando può bere prende una parvenza di forza, sembra quasi di vederlo crescere in statura mentre inveisce, con tutto il rancore inespresso che si ritrova in corpo. Che pena allora conoscere l’altro uomo che c’è in lui! Da umile diventa prepotente, aggressivo con chi gli sta intorno; fino a quando regge l’euforia alcolica non vuole aiuto “Perché io non ho bisogno di nessuno, sono forte io! Lo chieda a Caio,. lo chieda a Sempronio”, poi ridiventa acquiescente, quasi servile perché è solo così che uno come lui ormai può sopravvivere, scusandosi “Mm..mi scusi Ss..signora, mi pee…ermetta Sssignora” e bevendo per risentirsi forte. Di quando lavorava come operaio e faceva una vita normale non si vuole ricordare, e neppure della famiglia d’origine si ricorda, “che una tutta mia non l’ho mai avuta, per fortuna”, e “perché non si disturba chi non vuole sentirsi sporco come te”. Meglio i compagni di dormitorio che niente ti chiedono e al massimo ti portano via le scarpe quando sfatto dormi al parco Avevi un amico caro sulla panchina, G. e con lui riuscivi perfino a rincorrere l’idea di una vita decente. Insieme dividevate le gioie del vagabondare e insieme avete aspettato che l’INPS si facesse viva, avete fatto progetti di quasi normalità, di pace per il corpo se non dello spirito. La pensione è arrivata: G. è morto, un giorno solo sulla vostra panchina, Tu i soldi li usi per bere perché non ti puoi perdonare; e ancora oggi racconti del suo ritrovamento, dell’orrore dell’obitorio, del…. funerale senza un prete! “Si beve per dimenticare, se no come continuare? ““Il paradiso non è di questa terra!” Hai provato a cercare il paradiso, ma senza alcool non riesci a credere di poterlo trovare. Vivere in comunità per recuperare un po’ di normalità non è servito, hai preferito risentirti principe a modo tuo. Principe, lascia che ti aiutiamo anche quando ti senti un “Principe”.
Gioia
C’era una volta un uomo:O C’era una volta una donna:O Niente di strano penserete voi miei cari lettori, e invece qualcosa di strano c’è. Il loro è un insieme che tanto spesso non si vede Lui filosofo, extra comunitario con permesso di soggiorno, arrivato in Italia quando il nostro paese accettava il diverso con umana accoglienza. E’ fuggito da un sistema che impediva di parlare e di vivere, con tante speranze in un’ illusione vissuta per racconti e studi fatti. Lei segretaria presso una ditta che aveva dovuto licenziarla perché in fallimento. Questo uomo e questa donna sono diventati una coppia! Difficile crederlo, ma è così. Si sono conosciuti su di una panchina, da disperati. Lei lo ha trovato malconcio e ubriaco, quando ormai aveva gettato la spugna e i sogni li aveva consumati tutti. Per puro spirito di carità lo ha soccorso senza paura del suo aspetto poco raccomandabile o del suo essere straniero. Hanno condiviso le tristi giornate in cerca di un lavoro, in cerca di un alloggio, in cerca della dignità persa nell’alcool; hanno capito che insieme erano più forti, che fra loro era nato dell’affetto sincero che a volte vale più della passione giovanile. Hanno deciso di sposarsi. Hanno un lavoro una casa, un cane, amore per il prossimo e, lo speriamo tutti, fiducia nel futuro.
e Dolore C’era una volta un vecchio che stava solo che più solo non si può. Non voleva amici. Non aveva bisogno di nulla, necessitava di tutto. Sognava il mare, il sole… Napoli…e abitava sotto il ponte della Ghisolfa Era sempre triste vederlo arrivare con la sua grossa borsa sulla schiena quasi fosse una lumaca che trasporta la sua vita Alloggiato in casa dormiva sul balcone, ammalato fuggiva dall’ospedale. Chiedeva un tetto sulla testa ma non pareti alla sua libertà. Ricoverato in una casa di cura in Liguria è morto, forse contento di vedere il mare o forse desolato per non avere più la sua borsa accanto, triste bandiera della sua indipendenza Abbiamo fatto il giusto per Lui o abbiamo sbagliato? Solo Dio lo sa.
Il Dottore
Alto, i capelli crespi, la pelle nera ma di quel nero che ha riflessi un po’ cinerini; gli occhi grandi, miti e ricchi di paesaggi lontani. Avvolto sempre in grandi cappotti, camminava sulla strada che porta al Centro quasi con regalità, un altero guerriero. Nel mio immaginario se lo penso, lo vedo emergere dalle dune del deserto. Mai aggressivo, neppure quando aveva bevuto. Distaccato da tutto, come se nulla potesse scalfire l’apparente calma interiore. A Milano era venuto da Torino. In quella città era arrivato giovanissimo e lì aveva frequentato le scuole fino ad un passo dalla laurea in medicina ma rinunciandovi, perché? “Perché troppi sono i cancri del mondo ed è da sciocchi sperare di guarirli nel corpo se prima non pensi a migliorarlo nell’anima” Questo fu il vero motivo o mascherava con belle parole un bruciante insuccesso? Per alcool e disoccupazione era stato estromesso dalla sua famiglia. Aveva lasciato ma non abbandonato i due figli che di loro aveva sempre notizie. Dei figli parlava spesso, si rammaricava non seguissero un adeguato piano di studi per le richieste del mercato. Quando si accorgeva che le sue affermazioni mi facevano sorridere, non intendeva perché le trovassi poco opportune “dette da Uno come te”! Uno come te che proprio per il suo essere “barbone” consapevole di non essere utile a nessuno, a nessuno avrebbe mai fatto del male. Uno come te che veniva spesso preso di mira da gentaglia che manca di dignitosa tolleranza. Uno come te che riusciva a giustificare chi lo malmenava fino a renderlo orbo. Avevi ragione Dottore, non dovevo offenderti con il mio sarcasmo. Perché deriderti? Perché dormivi sulla panchina, perché eri di colore, perché eri povero, o forse perché nonostante tutto eri meglio tu di chi non vedeva in te il suo Prossimo? Mentre ti dibattevi fra il nascere dell’ idea di farti cattolico o annegare nell’infelicità grazie alla bottiglia, sei stato falciato e abbandonato sul ciglio della strada, di notte, senza aiuto, da chi poco sapeva di carità umana.
Il ciclista
Volto puntuto, occhi ridenti, capelli ormai pochi e grigi ma che dovevano essere biondi se non rossi. L’insieme un po’ volpino riflette il suo carattere: sbruffone e codardo, egoista e generoso, sincero e bugiardo, amico vero e infame. Tutto questo è il Ciclista, tutto questo contemporaneamente, credetemi. Vuoi una bicicletta? Basta accontentarsi e lui, se non chiedi dove, te la procura Tutti lo conoscono il Ciclista. Ama questo sport come pochi e tutto sa sui vecchi e nuovi campioni; ma soprattutto ama la “Bicicletta”. Per lei è capace di pazzie e di grandi promesse mai mantenute. Dopo l’alcool è il veicolo per la felicità! Ama cavalcarla sia per accettare un lavoro occasionale sia per andare sui Navigli a fare grigliate e a stendersi al sole quando è bella stagione. E’ lei che lo fa sognare e andare indietro nel tempo, a quando aveva speranze di avventura e felicità. Allora era uno spaccamontagne e le passioni erano anche altre. Gare in go kart, motocicletta, aperitivi con i camerati della “Fiamma”, corse pazze in auto per le vie della città. Io me lo vedo lo Spaccamontagne guidare il suo “Maggiolino schiantarsi contro un muro e uscirne con la vita rovinata, per sempre. Com’è invecchiato lo spaccamontagne – ciclista! Adesso la felicità la trova vicino ai cassonetti della spazzatura. Lì si che c’è roba che affascina: e lui la raccatta passando “per caso”, e poi la vende o la regala, cercando di farsi un amico o perché sei un amico; ma attenzione se la accetti, potrebbe essere un incauto gradimento! Anche lui come tutti sogna una casa che non potrebbe mantenere e anche lui come tutti aspetta la pensione che tarderà ad arrivare. Lui come tutti vorrebbe una famiglia in cui tornare, ma non è amato e cosi spia e vive gli affetti di famiglie non sue e si illude di farne parte. Solo, se ne sta sulla strada a guardare: a guardare la sua vita che passa, ormai senza più pedalare.
Il Professore
Fisicamente passava inosservato, si confondeva nella massa delle persone comuni e mai all’inizio del suo cadere avresti detto fosse un “barbone”. Quasi calvo, occhi scuri da meridionale qual era, viso rotondo, non alto e non basso. Era un classico insegnante di (ve le ricordate?) Applicazioni Tecniche nella scuola media. Meticoloso, preciso, ordinato, tecnico insomma, ma senza incarico perché licenziato quando per malattia prolungata ancora si licenziava; senza pensione perché pochi giorni mancavano (ma mancavano) ai famigerati “19anni 6mesi 1giorno” che gli servivano per goderne come impiegato dello stato; senza salute per ricominciare, senza umiltà per farsi aiutare e, poi, senza un tetto. Senza Tutto! Si è fatto trascinare al nostro centro per ottenere giustizia, ma nulla ha potuto modificare la sentenza del TAR. Un colpo tremendo che gli ha tolto ogni speranza di riscatto; neppure chi lo ha aiutato, ascoltato e condiviso le sue ore ha potuto arginare la sua progressiva depressione, un auto-devastazione voluta, fatale. Fatale forse fu la ricerca e il riavvicinamento alla famiglia d’origine, felice di averlo ritrovato dopo mesi di ricerche Fatale il troppo orgoglio che gli impediva di rivelare la vergogna di essere un fallito. Fatale il treno che lo ha travolto una sera a Cadorna. Inevitabile il fastidio dei viaggiatori che vedevano, fatalmente, allontanare il loro rientro a casa.
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