STORIE PARTICOLARI/2

di Alba

 

storie particolari

 

“Rivoluzione”

 

Capello medio-lungo, disordinato ma pulito, ha l’aria smarrita, timoroso  nell’atteggiamento di chi 

-Non vorrei  disturbare ma ci sono costretto-.

Gli occhi sono da buono e disperato. Accolto al centro, mentre lui si presenta , scrivi i suoi dati e   pensi:

-Eccolo qui, un altro che non trova  lavoro; eppure è giovane (ma poi non è così giovane come appare), ha studiato, non sembra bevuto, non è fatto, perché diavolo ha bisogno di noi?_

E Lui parla, parla, parla, e tu ascolti con attenzione e non capisci. Improvvisamente ti accorgi che il suo discorso non ha senso, ti rendi conto del suo andare a vanvera con le parole.  Quando  il parlare diventa comprensibile, la storia è di fantasia… ti auguri!

Vaneggia di una gioventù passata a combattere contro l’ingiustizia, di incursioni, di saccheggi, di sprangate,  di battaglie dure con i compagni del centro sociale, fatte contro tutto e tutti, in nome del Partito che ti usa e poi ti scarica,  per una parità sociale che non esiste ed è irraggiungibile per quelli che ci credono davvero.

Vuole lavorare, ma non vuole lavorare. Vuole la carità ma che non sia “pelosa”. Vuole aiuto ma senza riserve né richieste restrittive di libertà.

-     Il lavoro ti rende schiavo.-

-     Un lavoro ti libera –

-     Per la libertà sacrifichi la libertà.-

Cerchi allora di allontanarlo, di non fartene carico. Ti senti in colpa ma ti giustifichi dicendoti che   non rientra nella sfera di interventi di cui si occupa l’Associazione; ma lui non se ne và.

Torna, chiede aiuto con tutto sé stesso, con gli occhi, con l’atteggiamento fisico con parole a volte chiare, a volte gelide, a volte sconnesse. Chiede aiuto per ottenere l’invalidità fisica che mai gli daranno e non vuole accettare che ben altri sono i suoi problemi.

Alla fine di ogni nostro  colloquio mi sorge un dubbio:- è lui che è  “stravagante” o sono io che sono “de-efficiente”?-

Riusciremo ad aiutarti  Rivoluzione?

 

 

Il Migliore

 

Era strano l’ amico mio, era  strano e io l’ho  subito amato e odiato. A  prima vista.

Era ancora bello come sono belli alcuni egiziani che ricordano l’ antica stirpe.

Alto, fiero,  occhi scuri e seri , capelli ricciuti ma non troppo,un poco stempiato. Sempre pronto a blandire per avere, a minacciare se non accontentato.

Un mercante nato, capace di vendere qualsiasi mercanzia discutendo sul prezzo per un tempo infinito, se gli si dava spazio, come in un mercato arabo si usa fare.

Il Migliore diceva, non come gli altri rozzi e degradati; sfortunato ecco, questo si!

La Sorte, maligna, lo costringeva a chiedere aiuto:  il permesso di soggiorno in scadenza , la telefonata da fare a casa, qualche soldo per pagare l’affitto.

Il bicchiere di vino era il suo tocca sana, ma non esagerava; riusciva a mantenere una certa lucidità che gli permetteva di colloquiare senza sfigurare; ma il tempo passava  e la dipendenza aumentava. Arrivò il giorno che viveva per bere.

Non vendeva  più, non parlava   più se non per affermare di essere il migliore: aveva perso  la sua autonomia e il rispetto di  tutti.  Si era  fatto  cacciare dagli amici che lo ospitavano e si era trovato per la strada, malvisto irascibile, intrattabile.

Non era più il Migliore: anche lui un extracomunitario di… merda!

Ubriaco attraversava la strada dove non è permesso neppure al Migliore  e veniva investito da un auto. La sua gamba necessitava di gesso, fisioterapia una casa dove alloggiare. La Sorte intenerita  gli  procurava un monolocale e l’assistenza necessaria: sperava  potesse recuperare l’antico orgoglio, reagisse all’alcool e tornasse il Tilly di prima.. 

Recuperava   solo l’idea  dell’ orgoglio, un fac-simile di carta straccia che gli faceva   pensare di potersi infischiare della sorte. Cacciava chi lo voleva aiutare, cambiava le chiavi di casa perché non voleva regole, si addormentava con la sigaretta accesa dando fuoco al monolocale dove alloggiava.

Avvolto in una coperta, mentre i pompieri sedavano l’incendio, chiedeva fuoco per la sigaretta ad uno degli inquilini evacuati per causa sua. 

Cadeva e moriva,  ubriaco, sulle scale del dormitorio di viale Ortles dove la Sorte Maligna lo  aveva fatto ospitare. Nessuno dei parenti  richiedeva la salma. Forse non sapevano che era il Migliore.

 

 

Il Gigetto

 

Piove. Se ne sta seduto sui gradini della   chiesa, occhi bassi che vorrebbe sparire ma per quanto cerchi di ridursi, il suo fisico voluminoso deborda sul marciapiede e ingombra il passaggio a chi va di fretta. Il braccio proteso a metà, la mano quasi chiusa. Nessuno si ferma per dargli una monetina.

Lo guardano però, forse senza capire: il suo è un atteggiamento o un elemosinare?

Questo suo stare immobile senza parlare, questo suo chiedere con vergogna rende incomprensibile la sua stessa richiesta.

Gli occhi cerulei sono vacui, quasi bovini nella loro grande e spenta  fissità.

Chi lo guarda attaccarsi piangendo alla bottiglia lo definisce un ubriacone.

Chi lo vede si accorge che vuole   astrarsi  dal mondo in cui vive, forse sparire.

Abbiamo provato a toglierlo dalla strada, a procurargli un lavoro ma la tranquillità non è cosa per lui. Gli è impossibile viverla. Egli  non disattende ai suoi compiti se è sobrio, ma non regge l’astinenza dall’alcool.

Chi lo sente cantare si innervosisce, non sa cantare.

Chi lo ascolta si intenerisce; canta le canzoni dell’ infanzia, i cori della sua giovinezza, quelli che gli hanno insegnato gli  alpini perché alpino  lo era anche lui. Che cosa gli ha fatto tradire i sogni che aveva, che cosa lo ha portato a percorrere strade  molto più ardue  delle rupi e dei monti; è solo colpa del “bere” ?

L’alcool lo usa  per ritornare bambino, correre libero sui prati, lo sguardo al  lago vicino al quale è nato e che gli ha segnato gli occhi con  l’ azzurro dell’acqua  e  il grigio dei giorni di  pioggia.

Si divertiva   da bimbo sotto la pioggia, spalancava   la bocca e    beveva  dalle nuvole; che cosa magica e fatata  Un   bimbo speciale, avrà una vita speciale.

Oggi piove. E di nuovo ha speranza, e di nuovo ha fiducia nel suo diverso domani, e di nuovo è… felice?

Non più annientato  dalla freddezza rigida del momento che vive,  rinvigorito dalla luce della pioggia e dal fuoco del vino,  come da  bimbo canta a squarciagola; canta  perché è felice? Quando beve a volte  è felice.

Non canta se  è lucido perché, allora, è disperato.

 

 

HULK

 

Lui è forte, è indistruttibile!

Arriva timidamente al centro presentato dal Ciclista suo compagno di avventure che già lo frequenta. E’ alto e muscoloso quanto basta per impressionare chi se lo trovasse di fronte all’improvviso: il suo aspetto complessivo richiama  il possente Hulk. Gli occhi e i  capelli sono  neri, la fronte è alta e prospiciente e  i  denti praticamente inesistenti raccontano parzialmente il suo problema. La paura lo spinge a fare cose incredibili per allontanare lo sfinimento correlato al suo male, per non sentire  ciò che sente, per non provare ciò che prova. Non è ancora verde ma lo sta diventando grazie alle sue  assuefazioni. Cerca aiuto ma  per confessarlo ci sono voluti infiniti colloqui ricchi di giravolte e capriole intorno al problema. Gli era difficile  trovare il coraggio di raccontarci la sua “vergognosa” malattia della quale  già eravamo a conoscenza grazie a  Radio Panchina che tutto sa e tutto trasmette. Il suo grande e presuntuoso  amico Ciclista,   asserisce che i medici lo hanno dichiarato  guarito:

–IL morbo del secolo sconfitto da Hulk  grazie al suo fisico bestiale.-

E lui il possente, spalleggiato da seguaci del “meglio tutto e subito” continua a dissipare  la sua forza e perde  le opportunità di stabilità che il suo corpo poderoso gli consentirebbe.

Hulk invece sta male. Sta male e rischia di entrare nella fase conclamata della   sua  patologia, ma  non si ferma. Tutto vuole provare prima di morire, tutto.

Il Ciclista  non  sa  accettare la progressiva disgregazione del suo indistruttibile  amico che è rientrato in famiglia e lui  non lo può più frequentare.

-Dura poco il mio amico, non vuole farsi vedere. Non vuole ricordi di panchina –

Ma Hulk che cosa vorrebbe? Vorrebbe sentirsi normale, unico eccesso desiderato e a lui non  consentito.

Vorrebbe  liberarsi da quel  peso invadente, inerte,  cieco e insistente che si  porta dentro ormai da anni,  dal primo buco, dal primo spaccio, da  quando era un ragazzo. Vorrebbe non ricordare i momenti bui, cancellare le notti dure e i giorni liberi, godersi la famiglia recuperata troppo tardi e  le coccole di una mamma che un tempo gliele aveva negate e che oggi non sono mai abbastanza.

Oggi Hulk è morto. È morto all’ospedale confortato dai genitori. Avrà un funerale come si conviene: Il prete e  la messa e  la benedizione e le lacrime e le  preghiere    e anche  i fiori; ma non ci sarà  il Ciclista.

Nessuno ha pensato che lui vorrebbe esserci perché un Barba  (lasciatecelo dire!), non si fa coinvolgere dagli affetti: vive alla giornata,  gli interessa solo    la sua sopravvivenza nella logica dell’  “oggi a te domani a me”.

Capita invece che  gli amici di strada possano volersi bene, diventare l’ unica famiglia possibile e    far parte del patrimonio dell’anima.

E’  grande il dolore quando perdi un amico; ma il Ciclista che l’amico non lo  ha più potuto vedere  né salutare, può pensare a lui come fosse  solo  lontano e si  porterà Hulk nel cuore, vivo per sempre. 

 

 

Il  Piemont ese

 

E’ ritornato il Piemontese: era un po’ che non lo si vedeva alla “Cena del mercoledì” e per la verità si stava tutti più in pace.

Deve il suo soprannome alle sue origini torinesi. Piccolo ma forte, i capelli  biondi quasi rossi completano il  viso lentigginoso e con un ché di  furbesco che viene comunicato dagli occhi piccoli e vicini. E’ il tipo permaloso e attaccabrighe. Per un niente riesce a far scatenare un rissa. Certo non è simpatico  e tutti temono di entrare in  contrasto con lui anche se non lo ammettono.

Naturalmente ha una piccola  cricca che lo sostiene, più che altro per paura, perché il piglio del capo lo possiede. Gli basta un’occhiata per minacciare, tranquillizzare, approvare. E’ questo un gioco che spesso cerca di fare anche con i volontari che lo avvicinano, ma giocare con lui è molto faticoso. Quando si affaccia sulla porta del centro ci sentiamo un po’ in colpa per aver vissuto la sua assenza come un dono del cielo e nello stesso tempo sollevati che non gli sia successo niente di grave.

E’ tornato da un  soggiorno alle Molinette. Come mai lì?

L’hanno beccato a Torino mentre faceva una sosta su di una panchina; gli hanno chiesto i documenti (che, maledizione a noi, gli avevamo  fatto fare) e toh! Risultava  ricercato per una stupidaggine, perché c’è chi nasce sfortunato! 

-Sicuramente sono  stato tradito dall’amico che ero andato a trovare, ma non gliene voglio. Che poi non ci si sta cosi male, si mangia tutti i giorni, ci si può fare una doccia come Dio comanda, ti curano pure. Pensa che… lasciamo perdere.-

E’ venuto a chieder soldi, naturalmente e al nostro rifiuto motivato dalla mancanza di fondi (effettiva), dà subito in escandescenze. Aspettiamo, come d’abitudine non mostrandoci allarmati, che scarichi il suo disappunto imprecando.   Lo ascoltiamo urlare, chiedere e pretendere paonazzo in volto, incolpandoci di tutto e di più e, alla fine  quando tutto è uscito, quando tutto il fiele è stato vomitato, ecco che emerge il suo vero bisogno:

-…  che a me hanno trovato il cancro! Là dovevo andare,  che se no chi me lo diceva che anch’io  sono  padrone di qualcosa?-

Ed ecco che per questo uomo sgradevole, rissoso e provocatore cambia l’idea di vita che si era disegnata.

La libertà che vuole  più di tutto, che lo lascia senza affetti, ma anche senza lacci e che lo libera da ogni obbligo fisico e interiore sta per essere condizionata dalla paura di morire. La paura della morte raggiunge tutti, anche  i santi, si dice.

La vita ci  è dunque cara anche da ultimi?

 

 

L’Ambulante

 

La madre casalinga, il  Padre  ciabattino

Sette fratelli nati in scala stretti come le note sul rigo

Ognuno aveva i propri compiti e li assolveva con diligenza

Tutti dovevano lavorare per costruire  e possedere la casa dove abitare.. Ci si doveva arrangiare. I sette fratelli crescevano e in armonia convivevano sostenuti dalle necessità   e guidati dai severi genitori. Un tetto sulla testa, il pane fatto in casa, i pomodori dell’orto, il profumo dell’aglio: che cosa vuoi di più dalla vita? A nessuno era concesso studiare e  la prima classe elementare doveva bastare. Niente spazio per la musica né tanto meno per la poesia, solo i fannulloni perdono il loro tempo con simili spassi. L’arte del leggere, dello scrivere e del fare di conto era una conquista personale. L’ultimo nato, Mimmo., che sentiva  la voglia di cantare, era guardato con sospetto.  Come fare? Bisognava trovare un lavoro che ti lasciasse anche l’allegria di pensare. Fare il venditore itinerante, per esempio; un procedimento perfetto per  riappropriarsi della vita. Su e giù per le colline fra gli ulivi, attraverso le piane soleggiate, spesso nella  calura , spesso al gelo ma liberi. Liberi  di comporre canzoni, di cantarle e di inciderle sul nastro del piccolo registratore, da analfabeta musicale,  per mandarle al  Clan di Celentano   o a Mogol  o a...Chicchessia  che mai rispondevano; ma  solo l’ansia dell’attesa ti faceva sentire vivo e contemporaneo in un mondo ancora immerso nel passato. Il babbo muore e la mamma si ammala. Chi la può accudire senza gravi rinunce? L’ambulante! E’ libero e senza impegni fissi e ancora vive nella casa paterna. Libertà - autonomia - indipendenza? Parole e sinonimi  ormai senza significato, spariti nel momento degli imperativi familiari.

Il tempo che sempre passa, a Mimmo  sembra non passare mai e così, dopo dieci anni, quando la mamma muore, superato  lo  strappo che ha atteso  e  che non pensava gli avrebbe procurato tanto dolore, crede che il tempo lo abbia aspettato. E’ persuaso di poter ritornare alla sua vita precedente, di ritrovare le strade , i paesi, le piazze e la libertà. Ma i permessi sono scaduti e altri ne hanno i diritti. Non trova lavoro e   altro tempo lo passa  per litigare con i fratelli che lo considerano un fannullone, che decidono di vendere la casa, che lo liquidano con pochi soldi e  anche affettivamente.

Milano! Milano è l’America; tutti a Milano trovano lavoro. Milano è la libertà vera.

Ma i pochi soldi non bastano per resistere nell’attesa di farsi conoscere ed apprezzare. Non è facile per chi sa a malapena leggere e scrivere. E allora  la libertà sono i treni dove vai a dormire sfuggendo al controllore, o la panchina alla stazione, chiedere l’elemosina, fare la fila alla mensa dei frati, sfuggire a quelli più disgraziati di te che ti derubano della mezza cicca trovata sul marciapiede. Si dà da fare. Smette di fumare, rinuncia all’alcool anche se la tentazione a lasciarsi andare è forte; diventa badante per una persona anziana, poi venditore  di giornali di strada, e trova altri  mille modi per ottenere di rivivere normalmente. E ci riesce! Con l’aiuto di chi lo ha conosciuto e apprezzato  fa richiesta di alloggio popolare e lo ottiene. Non pensa più a comporre canzoni, solo qualche poesia ogni tanto da inviare a “Scarp de tennis”. Non insegue fantasie di successo ma cerca concretezza. Ha perso la libertà? Forse invece l’ha trovata sua,  “ristrutturata” nel fondo del suo cuore, come vuole oggi che sia.

 

 

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